Con il provvedimento in esame, il n. 914/23, la Corte di appello di Bari si pronuncia sulla riconoscibilità di una sentenza straniera, chiarendo i presupposti di applicabilità del limite di ordine pubblico. Nel caso di specie, si tratta di una sentenza del Tribunale minorile della Repubblica Bolivariana del Venezuela e la questione involge il contemperamento tra diritto di difesa, potestà genitoriale e tutela dei minori.

La ricorrente, in possesso di doppia cittadinanza, sia venezuelana che italiana, e ora residente in Italia, aveva chiesto la delibazione di una sentenza resa nel 2020 dal Tribunale Primo di Primo Grado di Giudizio del Circuito Giudiziario di Protezione dei Bambini, Bambine e Adolescenti della Repubblica Bolivariana del Venezuela, con cui le era stata affidata una minore, anche lei cittadina venezuelana ed italiana, figlia di sua sorella.  Detta sentenza straniera, in particolare, aveva emesso in favore della minore la misura di protezione di cui al comma i) dell’art. 126 della Legge Organica per la Protezione dei Bambini, Bambine ed Adolescenti, prevedendo la collocazione familiare presso l’abitazione della zia e conferendo a quest’ultima la responsabilità per determinati atti, ai sensi degli artt. 396 e 358 della stessa legge, che prevedono la facoltà di svolgere atti di ordinaria amministrazione e l’esercizio della Responsabilità di Crescita, ovvero “… il dovere ed il diritto condiviso, ugualmente irrinunciabile del padre e della madre di amare, crescere, formare, educare, custodire, vigilare, mantenere ed assistere materialmente, moralmente ed affettivamente i propri figli e le figlie, così come la facoltà di applicare mezzi di correzione adeguati che non vulnerino la dignità, diritti, garanzie o sviluppo integrale. Di conseguenza, si proibisce qualsiasi tipologia di mezzo di correzione fisco, di violenza psicologica o di trattamento umiliante in danno dei bambini ed adolescenti …”.

La Corte d’appello di Bari, dalla lettura della sentenza allegata, evince che nel corso del giudizio boliviano non era stato possibile effettuare di persona alcuna notifica al padre della minore e che neppure il difensore nominatogli d’Ufficio era mai riuscito a rintracciarlo. Il provvedimento delibando si limitava a riportare che l’uomo all’epoca fosse persona senza fissa dimora, affetta da disturbi psichici e da una dipendenza da alcool, senza peraltro che tali circostanze fossero documentate.

Per vero, neanche nel giudizio di delibazione oggetto dell’odierno esame, l’uomo si è costituito e, pertanto, viene dichiarato contumace, ma dagli atti risulta attualmente residente in un paese del distretto della Corte d’appello di Bari e domiciliato presso una comunità terapeutica.

La Corte rileva che l’art. 64, lett. b), della L. n. 218 del 1995 debba essere letto nella chiave costituzionalmente orientata del diritto di difesa e del giusto processo, il cui nucleo essenziale si fonda, in particolare, sulla garanzia del contraddittorio.  Nel caso di specie, il giudice straniero aveva dato atto che alla parte fosse stata garantita solo la difesa tecnica e, tuttavia, l’assistenza del difensore tecnico deve necessariamente presupporre, secondo il nostro ordinamento, la possibilità di interloquire con la parte, non essendo sufficiente la presenza formale di un difensore a cui non venga dato modo di conferire con la parte o di comprenderne adeguatamente le ragioni.

Per questo, la Corte ritiene che non siano stati rispettati i requisiti di cui alle lett. b) e c) dell’art. 64, secondo cui il riconoscimento delle sentenze straniere presuppone il rispetto delle garanzie processuali fondamentali e dei diritti essenziali di difesa e, pertanto, decide di non procedere alla delibazione richiesta.

Per vero, data la peculiarità del caso in esame, in cui emerge il profilo giuridico della fragilità, la Corte non si limita a un mero diniego del riconoscimento degli effetti civili per contrasto con l’ordine pubblico. Pur senza entrare nel merito del provvedimento da delibare, precluso al giudice italiano, evidenzia che l’affidamento della minore alla zia era stato disposto sul presupposto delle difficoltà in cui versava il padre, che, all’epoca dei fatti, in preda alle sue fragilità e dipendenze, aveva lasciato la bambina da sola in Venezuela, frapponendo addirittura un oceano fra loro perché incapace di prendersene cura. Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’alcolismo una malattia che colpisce l’intero gruppo familiare, ingenerando inevitabilmente una serie di relazioni disfunzionali che rischiano di compromettere anche il rapporto genitori-figli. Tuttavia, nella vicenda in esame, la Corte d’appello non può non sottolineare che queste circostanze di fatto, nel frattempo, sono evidentemente mutate e, per questo, imporrebbero un attento riesame dell’intera vicenda, con gli approfondimenti del caso a cura del Tribunale dei Minorenni.

Pertanto, nelle more dell’entrata in vigore del Tribunale unico della famiglia, delle persone e dei minori e della costruzione di una rete integrata di supporto e prevenzione a relazioni familiari disfunzionali, la Corte d’appello suggerisce alla rappresentante degli interessi della minore di esperire altri rimedi e soluzioni innovative, a tutela del best interest of the child, della dignità della persona e della genitorialità, contribuendo al rilancio del trinomio libertà-responsabilità-solidarietà.

Vera Valente