Analisi e commento in merito alle attività della Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari e della relativa Sezione nel mese di giugno 2023

La Protezione Internazionale

Il diritto in materia di protezione internazionale designa quella branca giuridica avente ad oggetto le norme e gli istituti preposti alla tutela dell’individuo da violazioni dei suoi diritti fondamentali. L’individuazione del perimetro all’interno del quale rintracciare i diritti fondamentali oggetto di tutela ha costituito un complesso percorso ermeneutico. L’oggetto fondamentale della protezione internazionale consiste nell’elaborazione di uno strumento di tutela e reazione al collasso della relazione fra un ordinamento giuridico e la persona all’interno di uno Stato al fine di tutelarne i diritti fondamentali. Il sistema della Protezione Internazionale è fondato sulla Convenzione di Ginevra e soprattutto sul Sistema Europeo Comune di Asilo, mediante il quale l’Unione Europea ha introdotto, all’interno del proprio ordinamento e all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, la normativa in materia di protezione internazionale.

Gli istituti, i quali compongono l’attuale tassonomia della protezione internazionale, sono lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Ad essi si affianca un istituto completementare e residuale, avente origine all’interno dell’ordinamento italiano, il permesso di soggiorni per motivi umanitari cd. “protezione umanitaria”, recentemente oggetto di riforma, la quale ha ridefinito le fattispecie costitutive ed i requisiti necessari al riconoscimento di tale forma di protezione e ne ha modificato la qualificazione in “protezione speciale”. Tali istituti possono costituire uno degli esiti positivi del procedimento amministrativo per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il sistema delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale

All’interno dell’ordinamento italiano, l’esame delle domande di protezione spetta alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. La Commissione Territoriale costituisce un organo collegiale espressione di una articolazione territoriale della Prefettura di riferimento. L’attuale composizione della Commissione Territoriale costituisce una espressione del personale appartenente alla carriera dell’Amministrazione Civile del Ministero dell’Interno, tale personale è oggi integrato dalla presenza consultiva da esperti in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani. La composizione prevede: un componente appartenente alla carriera prefettizia, il quale riveste la qualifica di Viceprefetto, con funzioni di Presidente; i funzionari amministrativi (appartenenti all’Area Terza) espressione dell’Amministrazione civile, i quali rivestono il ruolo di Commissari istruttori; gli esperti in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani.

Lo Status di Rifugiato

L’art. 2, comma 2, lett. e), del d.lgs. n. 251 del 2007 definisce «rifugiato» il cittadino straniero che, per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trovi fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese, oppure – se apolide – che si trovi fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni suindicate e non può, o a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, (CGUE, Grande Sezione, 5 settembre 2012, cause riunite C-71 e C-99/11, Bundesrepublik, Deutschland/Y.Z; Cass. Sez. 6-1, n. 14157/2016, Rv. 640261-01 Cass. Sez. 1, n. 30105/2018, Rv. 653226-01).

La fattispecie così delineata richiede la sussistenza dei seguenti elementi costitutivi.

La cittadinanza di uno Stato straniero o l’apolidia del richiedente.

La persecuzione, in merito alla quale, è necessario precisare che è assente una espressa definizione all’interno della normativa. La natura persecutoria di una condotta è rinvenibile secondo due ordini di valutazione: il primo in relazione alla qualità della condotta; il secondo in relazione alla pluralità. In termini qualitativi, la persecuzione costituisce una violazione di diritti fondamentali. In termini quantitativi, è necessario evidenziare come il legislatore qualifichi quale “persecutoria” una pluralità di atti, i quali sono valutati all’interno della loro sequenza e perciò nel complesso.

I motivi della persecuzione, i quali costituiscono le ragioni eziologiche alla base della conduzione della persecuzione, di cui è offerta una tassonomia elencativa chiusa ed esaustiva: razza, religione, nazionalità, opinione politica, appartenenza ad un determinato gruppo sociale.

Inoltre, è necessario considerare gli agenti della persecuzione, i soggetti che pongano in essere tale condotta persecutoria: lo Stato di cittadinanza; partiti ed organizzazioni controllanti lo Stato od una parte consistente del suo territorio; enti non statuali, ossia non ascrivibili all’ordinamento dello Stato.

Infine, l’impossibilità e/o il rifiuto di avvalersi della protezione dello Stato di cittadinanza del richiedente. Nel primo caso è necessario considerare circostanze ed elementi inerenti il contesto di origine del richiedente: difficoltà ed ostacoli oggettive, logistiche, finanziarie. Il rifiuto di avvalersi della protezione attiene alla dimensione riflessiva e razionale del richiedente, perciò agli elementi soggettivi e speculativi posti in essere dal richiedente protezione, i quali lo abbiano spinto a non beneficiare della protezione del proprio Stato. È possibile che in tale analisi emergano anche elementi inerenti al ragionevole timore espresso dal richiedente di essere esposto a condotte persecutorie.

Nel corso del mese di giugno 2023, il totale delle decisioni di riconoscimento dello Status di rifugiato adottato dalla Commissione e dalla relativa Sezione ammonta a venti provvedimenti. Le motivazioni alla base del riconoscimento degli Status si distinguono in: 8 per persecuzione inerente a motivi religiosi; 1 per persecuzione inerente a motivi etnici; 11 per persecuzione inerente ad altri motivi.

L’attività valutativa della Commissione e della Sezione è stata incentrata all’esame di domande vertenti su timori di persecuzione inerenti alla religione e all’etnia.

 

Religione

Il termine «religione» include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a (o l’astensione da) riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità, altri atti religiosi o professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte. La persecuzione per motivi di religione può assumere varie forme. A seconda delle circostanze particolari del caso, compreso l’effetto sulla persona interessata, tra gli esempi di persecuzione si possono annoverare il divieto di appartenere a una comunità religiosa, di celebrare il culto in comune con altri in pubblico o in privato, di dare o ricevere un’istruzione religiosa o l’adozione di gravi misure discriminatorie verso persone in quanto praticanti la loro religione, o perché appartengono o sono identificati con una particolare comunità religiosa, o hanno cambiato la loro fede. Allo stesso modo, nelle comunità in cui esiste una religione dominante o dove esiste una stretta correlazione tra lo Stato e le istituzioni religiose, la discriminazione a causa del rifiuto di aderire alla religione dominante o alle sue pratiche può in alcuni casi particolari costituire una persecuzione. Secondo Cass. Sez. 3, n. 08573/2020, Rv. 657778-01, quando il richiedente asilo alleghi il timore di essere soggetto nel suo Paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, la Commissione e il giudice devono effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso, senza che in direzione contraria assuma decisiva rilevanza il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità locali o statuali per invocare tutela, potendo tale scelta derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti (v.  Cass. Sez. 1, n. 28974/2019, Rv. 655565-01). In tali casi, le condizioni di esposizione personale dei richiedenti hanno avuto a oggetto: la professione di fedi religiose minoritarie all’interno di ordinamenti teocratici o all’interno di Stati nei quali la maggioranza della popolazione professi un credo maggioritario differente; la sottoposizione a specifiche pratiche religiose e tradizionali o il rifiuto a tali sopracitate pratiche (nello specifico, le mutilazioni genitali femminili); alla manifestazione e/o imputazione di una opinione politico – morale, la quale si ponga in contrasto con le finalità, le politiche e le attività dello Stato di riferimento e con le convinzioni e tradizione pratiche da una comunità.

Opinione politica

Tale termine si riferisce alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori e alle loro politiche o ai loro metodi, indipendentemente dalla circostanza che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti. Le attività professionali e i comportamenti sociali religiosi e politici del richiedente costituiscono oggetto di specifica esposizione. In particolare, tali attività e condotte possono rappresentare un fattore di espressione o di imputazione di una opinione. Sul punto, si considerino le prestazioni di attività lavorative, da parte dei richiedenti, in favore del proprio Stato, di un partito politico, di una formazione sociale, di una organizzazione internazionale governativa o meno.

Nazionalità ed Etnia

Il termine «nazionalità» non si riferisce esclusivamente alla cittadinanza, o all’assenza di cittadinanza, ma designa, in particolare, l’appartenenza ad un gruppo caratterizzato da un’identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di un altro Stato.

La Protezione sussidiaria

La Protezione Sussidiaria costituisce un istituto di derivazione europea, frutto della politica comune europea in materia di asilo. La sua elaborazione, avvenuta alla luce della comunitarizzazione della materia della protezione internazionale, mira alla implementazione del Sistema europeo comune di asilo, il quale ha realizzato, all’interno dell’Unione, l’armonizzazione delle normative in materia protezione mediante l’elaborazione di comuni norme procedimentali e norme sostanziali in materia di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria. La teleologia alla base del Sistema europeo è quella di costruire e riconoscere in capo ai soggetti che ne posseggano i requisiti una condizione giuridica stabile la quale consenta loro di tutelare i propri diritti fondamentali. Al fine di estendere ed includere ulteriori fattispecie di violazione di diritti fondamentali, l’Unione ha elaborato la protezione sussidiaria. La chiave di volta della ratio di tale istituto è da rintracciarsi per l’appunto nel suo carattere sussidiario. I caratteri precipui di tale istituto sono: la complementarietà, gli elementi costitutivi alla base del riconoscimento della protezione sussidiaria integrano e riconoscono ulteriori (rispetto a quanto previsto per lo status di rifugiato) fattispecie le quali possono esporre un individuo alla violazione di diritti fondamentali, essa è perciò da intendersi in termini di addizione e ricostruzione di fattispecie e requisiti per il riconoscimento di una forma di protezione internazionale; supplementarietà, tale carattere rileva nel corso dell’esame della singola istanza di protezione internazionale. Qualora non emergano gli elementi necessari al riconoscimento dello status di rifugiato, l’autorità competente dovrà considerare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono perciò legati da un rapporto di alternatività, di subordinazione e degressività.

Gli elementi costitutivi della protezione sussidiaria sono il fondato motivo di essere esposto ad un rischio effettivo di subire un grave danno. Tale danno può assumere in via alternativa una triplice forma: pena di morte; trattamento inumano o degradante; minaccia alla vita di civile derivante da violenza indiscriminata determinata da conflitto armato. Le prime due ipotesi attengono a un rischio specificamente personale di violazione e limitazione di diritti fondamentali, non legate alle motivazioni di persecuzione relative allo status di rifugiato. La terza fattispecie inerisce alla condizione di esposizione a un conflitto armato e alle conseguenze del medesimo.

Nel corso del mese di giugno 2023, il totale delle decisioni di riconoscimento dello Status di Protezione Sussidiaria, adottate dalla Commissione e dalla relativa Sezione di Bari, ammonta a quindici. La causa di esposizione a danno grave, derivante da violenza generalizzata determinata da conflitto rappresenta la motivazione di riconoscimento di tale istituto. Tale dato testimonia e riporta l’insieme dei conflitti armati svolgentisi nei contesti nazionali di riferimento e provenienza dei richiedenti.